mercoledì 28 marzo 2012

ABC DEL CIOCCOLATO

Delizioso. Così tanto che il medico e naturalista svedese Carl Nilsson Linnaeus, alla storia Linneo, lo chiamò “cibo degli dei cacao”: Theobroma cacao. La parola cacao arriva da molto lontano. Gli Olmechi la pronunciavano presumibilmente così: kakawa. Il suono ha attraversato i secoli per arrivare agli Aztechi che definivano i semi della pianta con la parola cacahuatl. Da qui cacao.

La pianta di cacao cresce nella fascia umida equatoriale e dà origine a frutti verdi, rossi o gialli, a seconda della provenienza, che ricordano palloni da rugby. La botanica definisce il frutto come drupa (esempi a noi vicini sono la pesca, la prugna o l’oliva) e nello specifico si chiama cabossa. Al suo interno si trovano i semi tenuti insieme dalla mucillago, una sostanza bianca mucillaginosa molto apprezzata da alcuni animali che nutrendosene diffondono nell’ambiente le fave di cacao.

LAVORAZIONE DEI SEMI DI CACAO

Per l’uso dell’uomo le fave vengono estratte dal frutto con precisi colpi di machete, vengono ammassate e coperte da foglie di banano quando sono ancora ricche d’acqua e avviate alla fermentazione; durante questa fase si formano numerosi precursori, cioè molecole, che daranno origine agli aromi caratteristici del cacao. Al termine i semi sono ancora ricchi di acqua che viene eliminata in gran parte con la fase successiva. L’essiccazione, quasi sempre naturale, avviene ad opera dei caldi raggi solari della fascia equatoriale. Dura alcuni giorni fino a che l’umidità scende sotto il 7% rendendo così il substrato resistente alla formazione di microrganismi indesiderati. A questo punto i preziosi semi possono essere riversati in sacchi di iuta e raggiungere via nave i Paesi che producono il cioccolato.

Le fave sono tostate ancora intere. La temperatura utile in questa fase è quella che passa dai 100 °C ai 140 °C. Gli aromi, i profumi, del cacao nascono in questo momento delicatissimo a partire dai precursori originatisi durante la fermentazione. Le temperature elevate delle tostatrici seccano e rendono fragile la cascara, la sottile e coriacea buccia che ricopre il seme. Tale rivestimento nella fase che segue, la decorticazione, sarà separato ed eliminato. La parte utile è ridotta in granella e avviata alla raffinazione, il processo che rende la massa di piccoli frammenti solidi una pasta prima e una sostanza fluida poi.

La fase successiva è il concaggio che, come suggerisce il nome, avviene all’interno di conche, recipienti simili a basse e larghe tinozze nei quali il fluido bruno viene continuamente rimescolato. Il processo può durare fino a 72 ore e ha lo scopo di eliminare l’umidità residua e le molecole volatili tra cui gli acidi. Alcuni cioccolatieri aggiungono in questa fase gli ultimi ingredienti per arrivare al cioccolato: la lecitina di soia, lo zucchero e la vaniglia.

LA FORMA DEL CIOCCOLATO

L’ultima fase della lavorazione del cioccolato è il temperaggio o cristallizzazione. Mediante questo passaggio si ottiene il prodotto finito: omogeneo, lucido, più facilmente conservabile e pronto per essere degustato nel migliore dei modi. Ciò è possibile sottoponendo il fluido dolceamaro a repentine variazioni di temperatura: da 45°C a 26°C e infine 31°C. Solo a questo punto è possibile riversare il preparato negli stampi al fine di dare la forma finale al prodotto che sarà destinato ai banchi e agli scaffali dopo essere stato confezionato.

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